„Business Saviorism“ in Aktion – Mein Reality-Check mit GOT BAG

"Business Saviorism" in azione: Come ho aiutato GOT BAG a guardarsi allo specchio

Centinaia di presenti e tanti good vibes al primo Bagyard Sale di GOT BAG Lettura "Business Saviorism" in azione: Come ho aiutato GOT BAG a guardarsi allo specchio 5 minuti

Il termine business saviorism definisce comel’“aiuto” venga spesso presentato come carità eroica. In questo articolo, l'autrice ospite Lavinia Muth racconta il workshop tenuto con il team di GOT BAG a Magonza, analizzando criticamente la comunicazione dell’azienda sulla sua collaborazione con l’ONG indonesiana e le attività di clean-up comuni.

Chi sono io per parlarne?
Per oltre dieci anni ho svolto valutazioni sull’“empowerment”, finché non mi sono resa conto che stavamo solo riciclando colonial pity (possiamo definirlo pietàcoloniale).
Oggi tengo workshop per aiutare aziende e ONG a riconoscere il white saviorism nel loro “fare del bene”: dal marketing di Patagonia (“We're in business to save our home planet” – hero complex?) al messaggio sulla raccolta di plastica di GOT BAG. Pensatemi come un'esorcista delle narrazioni aziendali salvifiche (spesso bianche).

Il check-up che nessuno fa nella CSR
Il business saviorism – versione aziendale del white saviorism – si verifica quando aziende o ONG presentano il loro “aiuto” come carità eroica, mascherando squilibri di potere sotto la facciata del fare del bene.

Quando GOT BAG, brand tedesco di zaini noti per il riciclo della plastica oceanica, mi ha chiesto nel 2024 di analizzare la comunicazione sul suo programma in Indonesia, le red flag parlavano da se’:

  • Titoli:
    “È l’unico modo per fare qualcosa.”
    “Dobbiamo agire ora.”
  • Visual:
    Fondatori bianchi sorridenti con sacchi di rifiuti (spoiler: a raccoglierli sono state le comunità locali).
  • Dati:
    “X tonnellate rimosse!” (Pochissimo sui mezzi di sostentamento o sui diritti d’autore delle foto dei “raccoglitori felici”.)

Puro, appunto, saviorism: benintenzionato, ma cieco ai contesti.

Il workshop: Scomodo? Sì. Trasformativo? Chiedetelo a loro.

Nel maggio 2025, il team di GOT BAG ha partecipato a un workshop intensivo di 3 ore presso la sede di Magonza. L’obiettivo:

  • Mappare i disequilibri di potere (Chi decide i budget? Chi è al centro delle storie?)
  • Analizzare il linguaggio, ad esempio:
    • da “È l’unico modo” a “Possibili strategie  da attuare”
    • da “aiutiamo” a “sosteniamo/collaboriamo”
    • da “raccogliamo” a “i partecipanti locali raccolgono”

Ecco cosa è successo:

  1. Da “Raccogliamo plastica in Indonesia” a mettere al centro i partner locali.
    Il problema: questo linguaggio cancella i sistemi locali esistenti e implica che la soluzione venga dall’esterno.
    Nuova formulazione:
    “La nostra fondazione partner gestisce un programma di clean-up in cui i partecipanti locali raccolgono plastica...”
    Perché funziona:
    • Riconosce il ruolo guida dei partner indonesiani
    • Usa voce attiva per i partecipanti locali
    • Rende visibile il rapporto di potere (GOT BAG Germania supporta, non dirige)

  2. Riconoscere gli echi coloniali
    • Perché le immagini mostrano backpackers bianchi con i sacchi pieni, invece di chi li ha riempiti?
    • Perché le voci dei partner indonesiani sono marginali nei report, mentre quelle dei fondatori dominano i comunicati stampa?

  3. Azioni concrete
    I compiti:
    ✔ Rivedere le linee guida comunicative per evitare il linguaggio salvifico
    ✔ Verificare i diritti delle immagini (stop al “raccoglitore felice” senza consenso)
    ✔ Creare una guida che garantisca rappresentazioni paritarie

Perché la disponibilità di GOT BAG è fondamentale

Molti brand si tirano indietro quando chiedo: “Chi ha deciso che fosse aiuto?” GOT BAG, invece, ha fatto un passo avanti.
Sei settimane dopo il workshop:

  • Ogni reparto usa un linguaggio co-creato – nessuna storia riguardante una comunità specifica o un raccoglitore viene pubblicata senza consenso da parte dei raccoglitori di rifiuti indonesiani coinvolti
  • Hanno inserito un “saviorism checkpoint” nel loro playbook campagne

Questo non è un processo di colpevolizzazione. È una questione di dinamiche di potere mascherate da generosità.

Ora tocca a te: fai un mini-check.
Prendi l’ultimo report CSR della tua azienda. Cerchia tutti i verbi con “noi” (“noi insegniamo”, “noi doniamo”) → Ora, riscrivi “paghiamo”, “seguiamo la leadership locale”. Poi chiediti: è davvero così? Se no, forse il problema sei tu.
Chi viene citato come esperto? Chi è solo sfondo?
Fai la domanda radicale di GOT BAG: “I nostri partner chiamerebbero questo “supporto” – o solo un tardivo tentativo di alleggerirci lacoscienza?”


Pensiero finale

Il business saviorism non è solo un rischio reputazionale – è un fallimento etico.
Se i progetti di sostenibilità rafforzano le disuguaglianze, allora ne fanno parte.
Il vero impatto richiede umiltà: ridistribuire potere, non solo riciclare plastica. Mettere al centro le comunità colpite, non il tuo brand.

GOT BAG dimostra che non si tratta di perfezione, ma di coraggio nel rivedersi.
E la ricompensa? L’effetto è tangibile: dove c’era paternalismo, c’è responsabilità. Dove c’erano comunicati stampa per “salvare”, ora c’è spazio per obiettivi condivisi e fiducia.

Ora tocca a te.


Sull’autrice:


Lavinia Muth è consulente di (in)sostenibilità ed ex-do-gooder pentita. Ha oltre 15 anni di esperienza nel mondo della moda e dell’agricoltura sostenibile.